Carta igienica e traslochi

Io me ne accorgo dalla carta igienica. Oramai mi è successo spesso. Penso di poterlo dire, spesso. Sono al quattordicesimo trasloco. Credo. Il mio è un conteggio insicuro, che mi lascia in faccia dubbi e tristezza. Quand’è che si può parlare di trasloco? In Toscana, quando si trasloca si dice che si fa “lo sgombero” una parola che mi fa pensare al pesce—lo sgombro—ma anche allo svuotamento. Ho controllato l’etimologia, nasce proprio dall’idea di liberare dalle masserizie e dai calcinacci. Ripulire, rimuovere, togliere di mezzo gli ostacoli... Ma se ci penso invece, nei miei traslochi ho lasciato dietro me pezzi di carne e di unghie, ricordi, nostalgie, scarpe, macchie, odori. Quand’è che si trasloca quindi? Quando si sa che non si dormirà più—per lo meno non regolarmente—in quel letto? E quand’è che un letto diventa il letto di casa, la cuccia dove ritorvarsi? Dipende dalla lunghezza della permanenza? Dalla ripetizione? Oppure dalla quantità di roba spostata? Quand’è che un trasloco è un trasloco? 

Per me il segnale è la carta igienica. Quando nel bagno della casa a me nuova, nella fase in cui inizio a piantare le mie bandiere di colonizzatore (creme, asciugamani, detersivi, quadri, giornali) e plasmare lo spazio a misura dei miei gesti, tanto da eseguire le routine quotidiane senza pensarci, allora mi capita di andare a prendere la carta igienica là dov’era nell’ultimo appartamento. E proprio quando mi accorgo che non la trovo, in quel momento, mi rendo conto che ho traslocato.

(originalmente pubblicato 2 luglio 2007)