E poi, ogni tanto, arriva una bolla.
Emerge dai crateri sulfurei del passato,
spinta dai moti perpetui dei dubbi,
a ricordarmi che laggiù, sotto l’acqua,
sotto al fondale sabbioso,
c'è ancora tumulto vitale.
Un vulcano forse sedato, forse appisolato.
E mi chiedo se sia meglio un’eruzione di incertezze
o un quieto compromesso con apparenti certezze.
Guardo la bolla affiorare e scoppiare,
piccola e tronfia di gas irrespirabili,
e mi ricordo della fretta che avevo di venire a galla
quando ancora non sapevo dove fosse la superficie.
E l'odore del gas, fulmineo treno del tempo,
richiama il bello e il brutto del lasciato indietro.
Ho nuotato così audace,
verso il sole, l'aria e la nuova dimensione
e nella fretta di salire ho scaricato sacchi di memorie
rancori, conti in sospeso e scoperte.
Per non appesantirmi, per salire veloce,
(rischi di embolie emotive conteggiati).
E quando riemergono bolle così
mi prendo il tempo per osservarle con calma,
commemorare le correnti sotterranee
delle memorie abbandonate laggiù,
protette dal peso dell’acqua.
Mi chiedo cosa ho perso e cosa ho scoperto.
Conteggi senza abaco di una sirena mortale,
ovunque avessi deciso di rimanere.