Lettera per la celebrazione della nascita di mio figlio

Questa lettera l'ho scritta per celebrare la nascita di mio figlio. L'abbiamo distribuita a tutti gli amici e familiari che sono venuti a festeggiare con noi e quel giorno. Abbiamo piantato un albero ed ognuno dei presenti ha contribuito buttando con la pala un po' di terra sulle radici del nuovo piccolo albero. Siamo in tanti a crescere ogni figlio di questa terra. 

"Ecco, finalmente ti scrivo.

Era tanto che volevo farlo e oggi mi sono presa questo tempo. Certo, tu non leggerai queste parole, ma so che i miei pensieri li senti. La scrittura è un bisogno tutto mio. In realtà vorrei abbracciarti e tutto questo te lo direi stando attaccata a te, ma non è possibile.

Sono tanti anni che ti osservo. Ti ho notato per la prima volta sette anni fa, quando sono arrivata in questo paesino che è di campagna, ma sembra di montagna. Lì per lì non ti vidi, perchè la mia attenzione fu attratta dall’enorme masso di pietra ai tuoi piedi. Fui colpita perché lungo quella strada un masso in quel modo proprio non te lo aspetti. E’ un po’ come trovare una duna di deserto in mezzo a un bosco. Non ci sono dirupi da cui possa essere caduto e non c’è niente di simile lì intorno. Un masso così imponente che a guardarlo ci si sente piccoli non per la sua grandezza ma perché s’intuisce il tempo che porta dentro. Così notai prima il macigno e poi, poco dietro, il tuo tronco scuro e grande, che quasi si confondeva con il grande sasso. Allora alzai gli occhi e il tragitto del mio sguardo fu lento e protetto e quando la mia testa fu tutta rivolta verso l’alto, iniziai a girare lo sguardo e trovai stupefatta la grande cupola dei tuoi rami. Ripercorsi con gli occhi il tragitto inverso ammirando in silenzio la tua eleganza. Il tronco come un lungo braccio e dal tuo polso, una mano e cinque lunghe dita dalle quali partivano a loro volta altre braccia e altre mani con lunghe dita. Pareva tu fossi in posa, un attimo di pausa nel tuo ballo eterno. A guardarti, mi arrivava un senso di eterna regalità.

Tornata a casa chiesi notizie su di te e venni a sapere che hai più o meno cinquecento anni. Alcuni dicono settecento, ma tutti mi hanno raccontato la stessa cosa: “E’ una quercia secolare. Era già lì quando ero piccolo e chissà da quanto tempo era lì prima di me”. Il nonno di mio figlio mi ha raccontato che quando era ragazzo, la sera d’estate veniva sempre lì sotto con gli amici e si sedevano tutti sulla grande pietra a chiacchierare. Poi hanno messo il recinto e da allora non ci va più nessuno.

L’anno scorso sono andata a vedere un film, dove c’erano i buoni e i cattivi. I cattivi volevano distruggere l’albero più vecchio del pianeta, sotto ai cui rami vivevano tante famiglie. Nel film c’era una scienziata che studiava quest’albero e diceva che nelle sue radici aveva più terminazioni nervose di quante ne abbia un cervello umano e che tutti gli alberi di quella specie erano collegati tra loro e comunicavano proprio come fanno i neuroni nei nostri cervelli. Allora ho pensato a te. Ho pensato che le tue radici debbano essere lunghe e profonde e che arrivino dove io non riesco nemmeno ad immaginare e forse riescono a toccare altri alberi i quali a loro volta ne toccano altri e così via. E la mia vita mi è sembrata lunga il tempo di un tuo unico respiro e mi è venuta in mente un’immagine di quando andavo al liceo.

La professoressa di scienze ci aveva portato in laboratorio a fare un esperimento. Avevamo messo del fieno a macerare in dei barattoli pieni d’acqua e noi dovevamo guardare questo miscuglio al microscopio. Succhiai una goccia di quel liquido con l’apposita pompetta e la risputai su un vetrino. Misi il vetrino sotto alle lenti del microscopio, uno di quelli veri, non come i giocattoli con cui mi era capitato di fare simili gesti fino a quel giorno. Avvicinai l’occhio al piccolo oblò e sorpresa, trovai animaletti a forma di fagiolo che agitavano un mare di luce bidimensionale. Mi staccai. Mi guardai introno stordita. I miei compagni ridacchiavano. Riprovai. I fagioletti correvano disordinati in tutte le direzioni: ognuno da solo, tutti allo stesso modo. C’era chi correva al lavoro, chi litigava, chi moriva e chi si riposava. In quel momento mi resi conto di essere il Dio che mi avevano raccontato. Ero il loro terremoto, il loro tempo, il loro destino. Ero un’eternità che li conteneva e allo stesso tempo tutto nel mio mondo era identico al loro. E questo pensiero mi mise calmò: era rassicurante vedere che dovunque avessi voluto correre, o qualsiasi cosa mi avesse fatto disperare era tutto di importanza microscopica. Letteralmente.

E così quando ti passo accanto nelle mie camminate, a guardarti mi sento proprio come mi sentii quel giorno a scuola tanti anni fa.  

Quando ero incinta di mio figlio e tornavo a casa, a volte, soprattutto nelle giornate limpide e calde, mi fermavo in mezzo alla strada con la macchina e aprivo il finestrino e mi rivolgevo alla pancia e dicevo: “Guarda in che bel posto vieni a vivere!”. E adesso che lui è piccolo e ancora non parla, tutte le volte che lo porto a passeggio ci fermiamo sotto ai tuoi eleganti rami e ti salutiamo. Lui non dice niente, ma ti guarda in silenzio. Secondo me lui, riesce ancora a vedere la tua danza. Allora ho deciso che per festeggiare la sua nascita, avrei piantato un albero. E magari chissà, un giorno, questo albero sarà grande e forte come te e saluterà i bambini che ci passano sotto.

Forse uno di questi giorni mi faccio coraggio e attacco bottone con i proprietari del giardino recintato e gli chiedo il permesso di abbracciarti. Per il momento continuerò a scriverti e a fare le mie passeggiate per venirti a salutare e nel frattempo, di tanto in tanto, continerò a chiedermi se per caso non ci sia qualcuno che ci sta osservando al microscopio. 

A presto."

(originalmente pubblicato 22 maggio 2011)