Scrittura e corpo

“Una sorta di risalita al corporeo può suscitare nel semiologo un’improvvisa diversione teoretica, che lo conduce dall’accezione ‘metaforica’ della scrittura verso l’aspetto manuale del termine […]: quel gesto con il quale la mano impugna uno strumento – punzone, calamo, penna – l’appoggia su una superficie, vi avanza premendo o carezzando, e traccia forme regolari, ricorrenti,ritmate.” Roland Barthes, in Variazioni sulla Scrittura, Einaudi, 1999, pg.5. Ho scritto poco usando la penna e solo in mancanza di una tastiera. Non ho mai amato la penna perché troppo lenta rispetto alle mie parole. Avrei voluto. Tanto. Affascinata dalle pagine degli scrittori famosi che descrivevano le loro abitudini stilografiche e le loro puntigliose preferenze. Volevo essere come loro e ci ho provato, credendo che la penna avrebbe funzionato come bacchetta magica, ma non l'ho mai trovata questa penna perfetta, stimolo di eloquenti pensieri e indulgenti sensazioni. Eccetto forse che per la china, quella ha funzionato per me come le scarpette rosse del famoso musical, ma non era pratica e alla fine anche lei è stata dimenticata. Le penne, le perdo con facilità e le più costose mi sono state rubate. Per quanto riguarda la carta ho scritto su tutto, qualsiasi superficie potesse accettare le mie lettere. Joe Fiorito, uno scrittore canadese con cui ho frequentato un corso di scrittura creativa ci regalò un piccolo block notes tascabile da portarsi sempre dietro per gli appunti. Ed è vero, aveva ragione, i pensieri interessanti capitano quando non puoi scrivere. L’ho usato per un po’ e poi l’ho messo via insieme a tutti gli altri che via via avevo provato dimostrando a me stessa per l'ennesima volta che una piccola superficie su cui spillare le proprie impressioni si trova sempre: dai sacchetti di carta in aereo, ai tovagliolini, al retro di scatole e persino sms a me stessa. Forse è per questo stesso  motivo che non sono mai riuscita ad essere fedele ad un’agenda. Ho risolto stampando, mese per mese, il foglio del mese che mi serve. Poco peso, poco ingombro e soprattutto se perdo il foglio ho perso soltanto la memoria degli appuntamenti, ma niente più. Mi sono chiesta che cosa cambiasse tra lo scrivere a mano e lo scrivere a penna. Ascoltavo amici, professori e scrittori delle generazioni precedenti raccontarmi commossi le loro passioni nello scegliere la carta e la stilografica. Avrei tanto voluto essere come loro, con una mia abitudine, una mia preferenza, una fisicità della scrittura che ancora non conoscevo. E poi, mi sono rassegnata, pensando tra le altre cose, che forse era proprio per questo che non ero una scrittrice. Non ancora. L’identità delle abitudini. Ho cambiato idea stamattina però ascoltando le mie dita sulla piccola tastierina, scomoda, del mio unico portatile. Ascoltavo quel ritmo. Ogni tastiera ha la sua musica e ogni testo produce un ritmo diverso. Nelle prime bozze il ritmo è generalmente frenetico forse perchè le immagini, i racconti, i personaggi, sono stati dentro a lungo sono cresciuti e, una volta pronti, affiorano in cima alle dita con forza. Nelle bozze successive invece il ritmo rallenta, s'impunta, riflette. E' un po' come la musica dodecafonica, ci vuole molta più attenzione per ascoltare e seguire l'onda delle parole. Così la scrittura sulla tastiera è ancora più fisica di quella della penna, usa entrambe le mani e produce in modo industrializzato con i suoi viziati copia e incolla, le sue correzioni automatiche, i sinonimi standardizzati e la sua apparentemente sicura localizzazione di ogni testo. Sarà anche per questo, deduco, che siamo diventati tutti scrittori...

(originalmente pubblicato 29 marzo 2007)