La costruzione dell'identità e social network

Usare e “stare” sui social network ha amplificato il mio radicato interesse per il tema della costruzione e percezione dell’identità. Come molti, anche io mi sono chiesta pechè tutto questo successo dei social? Perchè siamo tutti lì a dire cosa abbiamo mangiato, dove siamo andati e cosa sognamo? Perchè far sapere agli altri i nostri gusti musicali? E Perchè questo ossessivo bisogno di condividere? 

Mi pare di intuire che gran parte di questo successo è dovuto al fatto che sui social media noi possiamo costruire, plasmare e, apparentemente, controllare le nostre identità. Possiamo diventare supereroi, possiamo esplorare gli aspetti più oscuri della nostra personalità, in incognito—sempre presunto ovviamente perchè, si sa, niente in rete è veramente in incognito.  Su Twitter per esempio, vedo che tra i tanti, tantissimi, che si identificano indicando un nome e cognome (non necessariamente veri) c’è anche un “buonoanullo” un “lama elegante” un “signor nessuno” un “MisterX”,  un “Diavolo”, un “Dio” una “ballodasola”, una “solostronza” e una “corposenzatesta”. Giusto per citarne qualcuno. Una bella signora sposata, scrive nella bio “fighting 40+, UK” e posta foto più o meno porno con o senza lingerie. Il suo modo di contrastare la crisi d’identità che accompagna la pre-menopausa. Ognuno si dedica liberamente a diventare ciò che vuole o che forse non può essere nel quotidiano. Twitter è la trasgressione potenziale, il travestimento drag accessibile, facile e gratuito. Mentana, di recente, con il suo annuncio pubblico di cancellarsi da twitter denunciava proprio questa potenziale scorrettezza di poter offendere chiunque senza però esporsi—anche se sappiamo bene che la censura c’è anche su twitter. E poi ci sono le scappatelle, i flirt, il sesso virtuale. Twitter funziona anche meglio dei siti d’incontri. 

Ci sono quelli che preferiscono Facebook e quelli che preferiscono Twitter. La grande differenza, la maggiore direi, tra i due social è che su FB si tende a modificare l’identità reale. Ovverosia ad imbellire l’io quotidiano, filtrando accuratamente cosa postare e cosa non, quali foto taggare, quali citazioni condividere. In base all’idea che abbiamo dell’io desiderabile (ricco, magro, viaggiatore, politico, pubblico, misterioso, intellettuale, simpatico...) aggiungiamo pezzetti di un puzzle immaginario che ci rappresenta così come riteniamo di voler essere. Al contrario, twitter—che non richiede veri o presunti amici come pubblico, ma predilige gli sconosciuti--si presta molto meglio a costruire un’identità completamente nuova e spesso del tutto staccata dall’io quotidiano e, attraverso questa, permette di esplorare soprattutto chi poter essere. Non è certo un caso che, sempre più spesso, chi deve assumere del personale, controlli in rete chi o cosa questa persona sia e l’immagine di sé che il candidato vuole dare. E a voler cascare nella trappola di un “prima e un dopo”, prima di questo boom dei social, l’identità veniva costruita attraverso l’album fotografico e i filmini delle vacanze o del matrimonio. Adesso attraverso i social network e di questi tempi è più pressante e vitale esistere in rete che esistere nella realtà. Penso al famoso adagio, se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa rumore? Egualmente, se qualcuno esiste, ma non è visibile in rete, non è contattabile, non è rintracciabile, esiste sul serio?

Il 24 maggio 2012 al New Museum di New York, l’artista Constant Dullaart ha voluto puntare il dito su questo fenomeno in modo provocatorio e ha reso pubblica la password necessaria per accedere al suo account Facebook. Da quel momento, non ha più avuto alcun controllo sul suo account. Su questa scia, l’artista tedesco, Tobias Leingruber, ha fondato il Social ID Bureau, un servizio che mette a disposizione carte d’identità basate sulla nostra presenza nei social network. Nato come Facebook ID Bureau e lanciato con una performance a Berlino nel marzo scorso, il progetto ha immediatamente stimolato la risposta legale di Facebook (vedi anche questo articolo).

E così le mie riflessioni continuano. Cosa vuol dire, di questi tempi la parola “identità”? E come ci possiamo identificare adesso che anche l’identità è diventata, citando Bauman, liquida? Ma soprattutto, adesso che possiamo non-essere e cambiare chi essere come cambiamo abiti, che rappresentazione del reale cercheremo?

(originalmente pubblicato 13 giugno 2013)