Mi hanno suggerito di scrivere una riflessione sul "credere". Seducente stimolo in questi tempi di religioni prepotenti e supermercati della spiritualità in cui la fede è in offerta speciale. C'è il credere al collega o al capo. Il credere ad un Dio, il credere ad un figlio o a un genitore. Il credere al dottore, all'assicuratore o al coach. All'oroscopo o alle streghe. E c'è persino chi crede nell'agopuntura, mi dicono: medicina, sciamanesimo e magia sempre a ballare insieme.
Poi c'è il credere al fidanzato/marito/amante. Credere è la base di ogni rapporto. Ne ho già scritto in un post sulle bugie. Mentiamo tutti. Di continuo, anche senza accorgercene eppure tutti abbiamo bisogno di credere che l'altro non menta perché credere ci concede di delegare. Credere permette di affidarsi a quel qualcuno che ha la presunta verità in tasca e la condivide con noi in cambio di arrendevolezza.
Credere implica l'aspettativa di un paradiso, sia che si tratti di un diamante all'anulare o di un assassinio sceneggiato e postato su Youtube per il pubblico assetato di terrore. Credere presuppone un'arroganza di fondo: l'ambizione del bimbo che si sente super-eroe fino all'ora dei cartoni animati.